Il Dojo

29.12.2013 05:41

Il dō è il luogo nel quale si praticano le arti marziali. La sua origine deriva probabilmente dalle ampie sale dei monasteri buddisti nelle quali i monaci pregavano e praticavano tecniche di meditazione.
Il significato letterale del termine dō è “luogo per la ricerca della via”, il senso profondo di questa definizione impedisce a chiunque di considerarlo semplicemente uno spazio dove esercitarsi; il termine dō è associato anche al concetto di “stanza dell’illuminazione” ed evidenzia il ruolo e il significato che questo luogo assume nella pratica delle discipline marziali.
Il dō è un luogo nel quale non valgono le regole del mondo esterno, ogni praticante di arti marziali accetta di obbedire a dettami e cerimoniali peculiari dell’arte che ha scelto di praticare o decisi dal sensei, il maestro.
In linea di principio si può affermare che la concezione del dō come luogo di pratica e di ricerca per il miglioramento di se stessi coincide con il progressivo mutamento, determinato dalle vicende storiche del Giappone, del bujutsu, (insieme di tecniche marziali usate dai guerrieri) in budō, e con l’evoluzione di queste tecniche militari verso una dimensione spirituale.
Il dō nel volgere del tempo, quindi, da spazio dove i bushi, i guerrieri giapponesi, si esercitavano nelle tecniche proprie del loro mestiere e del loro ruolo sociale, si trasforma in luogo nel quale perfezionare, attraverso la pratica delle arti marziali, la propria personalità.
Il dō è comparabile a un luogo di culto, regolato da norme di comportamento di antica tradizione che i praticanti adottano come prima manifestazione della loro volontà di seguire un percorso di ricerca e miglioramento individuale.
La dottrina buddista zen, il taoismo, il confucianesimo e la religione autoctona del Giappone, lo shinto, contribuirono alla realizzazione di questi cambiamenti, che ebbero ripercussioni importanti anche nella vita quotidiana del popolo giapponese.

Disposizione e arredamento del dō

L’interno di un dō tradizionale giapponese in genere è di forma rettangolare o quadrata, è suddiviso in spazi rigorosamente predefiniti i quali assumono significati e valori diversi tramandati dalla tradizione:
Kamiza, tradizionalmente orientato verso nord, è il lato principale della sala ed è dedicato alle divinità giapponesi: i kami; è il luogo dove viene posto lo shinzen, l’altare degli dei shintoisti.
Kamiza ospita in genere l’immagine del fondatore dello stile a cui si fa riferimento, oppure la calligrafia di una frase di particolare rilievo e in genere qualsiasi “simbolo” a cui si riconosce un valore e un significato assoluto.
È il lato riservato al sensei e a eventuali ospiti d’onore.

  • Joseki (“luogo elevato”) è per tradizione orientato verso est, è un altro dei lati importanti della sala che si utilizza in alternativa a kamiza ed è riservato anch’esso al sensei o agli ospiti d’onore.
  • Shimoza è il lato d’ingresso ed è quello meno importante, orientato verso sud è posizionato frontalmente a kamiza. Su questo lato siedono gli allievi, quando il sensei occupa il lato kamiza, disposti in ordine di grado, dal più alto al più basso, cioè da sempai a kohai, a partire dal punto più vicino a joseki.

Se la porta di accesso della sala si trova in un angolo, generalmente è in quell’angolo che siedono gli allievi di grado più basso.

  • Shimoseki, posizionato a ovest, è il lato opposto a joseki e dove siedono gli allievi disposti dal grado più alto al più basso a partire dal punto più prossimo a kamiza, quando il sensei occupa il lato joseki.

Oggi la mancanza di sale costruite con criteri rigorosamente rispettosi della tradizione giapponese induce i praticanti, soprattutto in occidente, a utilizzare strutture che sono adattate per lo svolgimento della pratica delle arti marziali; questa situazione comporta spesso la necessità di riconsiderare le disposizioni originarie dello spazio e l’applicazione degli orientamenti tradizionali del dō .

All’interno del dō è necessario osservare alcune regole comportamentali, di antica tradizione, che tuttora i praticanti sono tenuti a seguire scrupolosamente; questi accorgimenti sono da considerarsi parte integrante della pratica del kendō:

  • Ogni volta che il kendoka entra o esce dal dō si inchina in segno di saluto e rispetto.
  • Il kendoka si inchina verso il suo avversario all’inizio e alla fine di ogni esercizio.
  • I kendoka indossano il bogu, l’armatura, sempre nella posizione seduta di seiza. In quest’occasione è consuetudine camminare dietro di loro; se per qualsiasi ragione è inevitabile passar loro davanti, è buona norma camminare stendendo la mano destra davanti a sé e inchinandosi leggermente; inoltre questa regola si applica ogni qualvolta un kendoka si sposta all’interno del dojō passando al centro dell’area davanti ai compagni, al sensei o a shinzen.
  • Il kendoka deve fare attenzione a non urtare sbadatamente o a camminare sopra gli shinai (le spade di bambù), i bokuto, (le spade di legno), o lo iaitō (spade da allenamento in metallo).
  • Il kendoka non deve mai toccare senza permesso il bogu di un altro kendoka.
  • Durante gli allenamenti i kendoka rimangono in piedi nell’area di pratica ascoltando le indicazioni del sensei, il maestro, e attendono le sue istruzioni mantenendo nel frattempo un atteggiamento rispettoso e consono al luogo e alla situazione.
  • Se durante la pratica una parte del bogu si scioglie o uno shinai si rompe, l’esercizio viene interrotto per consentire al kendoka di sistemare il bogu o sostituire lo shinai, mentre l’avversario rimarrà in attesa al suo posto